Il Forno della festa – Altopiano di Golgo

Il Forno della festa – Altopiano di Golgo

“I sardi, in particolare i pastori e gli abitanti delle campagne, eccellono nell’arte di arrostire la carne allo spiedo e nel farla cuocere sotto la cenere calda”. Il generale dell’esercito sardo-piemontese Alberto La Marmora, autore di uno dei più famosi resoconti di viaggio ottocenteschi dedicati alla Sardegna, fu molto colpito dalle usanze isolane in materia di arrosti. Fu impressionato soprattutto da “certe feste campestri dell’Ogliastra e della Barbagia, dove si usa offrire a tutti i partecipanti pane vino e arrosto: ma di carne di caprone, spesso castrato. I caproni vengono uccisi e squartati a centinaia e i quarti si gettano ancora sanguinolenti alla rinfusa dentro un forno rovente”. Questa descrizione richiama quella della festa di San Pietro a Golgo tratteggiata dal viaggiatore francese Valèry nel 1837: “La festa (…) si celebra con un enorme pranzo comune (…). Per questo pasto vengono uccisi 90 caproni che si mettono a cuocere in un grande forno vicino alla chiesa; la carne coriacea è poi distribuita insieme a un pezzo di pane bianco a tutti quelli che si presentano”. Il Valery visitò la Sardegna nel 1834 e il suo resoconto concorda quasi perfettamente con quello dell’Angius: “si macellano ottanta caproni, che si cuocono in gran forno presso alla chiesa”.

Il forno in questione, in pietra basaltica, si trova all’esterno della struttura muraria che circonda la chiesa, addossato all’edifico che funge da dispensa nei giorni della festa. Molti baunesi oggi tendono a vedere nelle descrizioni del Valery e dell’Angius le tipiche esagerazioni da viaggiatore ottocentesco, soprattutto per il numero dei caproni, difficilmente conciliabile con un unico “pranzo pubblico”. Numeri a parte (forse il totale di 80-90 caproni va riferito ai due giorni di festa) l’antica modalità di cottura è ricordata dagli anziani del paese e documentata da una foto d’epoca risalente ai primi anni del Novecento.

E’ probabile che l’usanza sia stata abbandonata nei primi decenni del XX secolo, come sembrerebbe confermare un passo del romanzo autobiografico (“Cuore d’argento”) di una maestra elementare toscana, Ya Malandrini, che insegnò a Baunei negli anni Venti. La Malandrini, descrivendo le feste campestri, racconta infatti che i baunesi “giunti alla chiesetta rustica si accampano all’aperto e ascoltano la messa e il vespro, e arrostiscono carne con spiedi primitivi”. Oggi i pastori di Baunei, in occasione della festa di San Pietro, organizzano la “Sagra della carne di capra”, riproponendo “il grande pranzo pubblico” in versione moderna, allineando gli spiedi intorno al fuoco.

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